Borgo Infantino

L’anima antica della Calabria
La Calabria è una regione che incanta con i suoi sapori piccanti, dove il tempo sembra essersi fermato. È un luogo dove la natura selvaggia domina, offrendo paesaggi mozzafiato che vanno dalle montagne aspre alle coste bagnate da un mare cristallino. Dove si respira aria di antico, di vita semplice e genuina, fatta di ritmi lenti e tradizioni che si tramandano di generazione in generazione. La vera essenza della Calabria si trova nella gente: calorosa e accogliente. È facile trovarsi a passeggiare in un piccolo borgo e vedere le persone uscire dalle proprie abitazioni, spinte dalla curiosità o dal desiderio di scambiare due chiacchiere, pronte a salutarti con un sorriso e farti sentire parte della loro comunità. Come è accaduto a noi, nel borgo di Infantino, un piccolo borgo rurale che sorge sul monte Gimmella, nella provincia di Cosenza, un borgo della frazione di San Giovanni in Fiore. Fantino o Infantino è nato nel XVII secolo, di questo borgo si conosce quando si è formato ma non esattamente come: secondo un racconto popolare il fondatore fu un pastorello di Pedace, che decise di fermarsi dove ora sorge il villaggio. In ogni caso, le prime testimonianze scritte risalgono al 1716, quando in un documento il duca di Caccuri Marzio Cavalcanti junior rivendicava, con una lettera spedita al Sacro Regio Consiglio di Napoli, l’appartenenza del borgo di “Infantino”, a suo dire detenuto abusivamente dell’Abbazia Florense. Nel 1752 l’Università di San Giovanni in Fiore, che si era sempre difesa presentando documenti che dimostrassero la legittimità dei possedimenti al Sacro Regio Consiglio, ribadì in maniera ancora più forte il possedimento del piccolo borgo. L’origine del suo nome deriva molto probabilmente dai monaci basiliani greci che hanno portato la statua San Fantino dall’Abbazia dell’A’Patia.
Questa frazione è stata una delle più grandi nel circondario. Negli anni ’60, periodo di maggior fermento, accoglieva ben 800 abitanti che sceglievano questa località per la facilità dei collegamenti con i paesi limitrofi e per la sua posizione dominante su tutta la valle di Jannia (o di Carello) e l’alta val di Neto. Il borgo si è sviluppato dal basso verso l’alto, con il nucleo più antico situato a 870 metri. Nei primi anni del ‘900, il borgo raggiunse la strada che portava a Caccuri, a 915 metri. Da quel momento, il borgo venne diviso in due: Fantino Sottano (la parte bassa del paese) e Fantino Soprano (la parte alta del paese). La chiesa vecchia di San Giuvanniellu, costruita tra il XVIII e il XIX secolo in stile neobarocco, venne abbandonata all’inizio degli anni ’70 del ‘900. Oggi, diroccata, sono rimasti in piedi solo i muri perimetrali, la facciata a capanna e la base del campanile. L’interno è invaso da piante, ma sono ancora riconoscibili le nicchie e l’altare maggiore.
Grazie anche a Don Carlo Arnone, che volle ridare a Fantino un luogo di culto, venne eretta nel 1975 la nuova chiesa intitolata sempre allo stesso Santo. Le case, tutte costruite con pietra locale e con vicoli stretti, si ergevano su due piani: il primo dedicato alla stalla e il secondo all’abitazione. Con l’aumento del tenore di vita dei fantinesi, iniziarono a sorgere case a più livelli, comprese quelle con soffitta. Ma fu proprio per causa della sua poca agevolezza per lo sviluppo dell’intero villaggio su terra scoscesa, che negli anni 2000 iniziò ad avvertire il suo declino. In seguito a sismi e frane, nel 2006 avvenne l’abbandono degli abitanti stanziali di Fantino Sottano. Ad oggi, la parte inferiore del borgo è preda dell’abbandono e della folta vegetazione che si sta riprendendo il proprio spazio. Qualche famiglia si reca nel periodo estivo per trovare refrigerio dalle temperature della costa e, ogni anno, nel giorno della festa patronale di San Giovanni Infante, il paese si ripopola dei vecchi abitanti e dei suoi discendenti per una festa che dura dal mattino alla sera e che è seguita anche da persone non appartenenti al borgo.
La parte del borgo ormai abbandonata resta un testimone silenzioso del tempo che fu’, con le sue case diroccate e ormai preda della vegetazione, ma che ancora raccontano e conservano storie di vite vissute.
Autori: Valeria – Mimmo