Ex Acciaierie Scianatico

Obiettivo Uno-Ex Acciaierie Scianatico
Valeria

Storie di invisibili in luoghi invisibili.


Io: dinamica, certe volte pure troppo, e con un accento polacco talmente marcato da denotarmi immediatamente come donna dell’est; cinquant’anni tondi tondi e faccia furbetta. Minuta nell’aspetto, con le dita lunghe e affusolate e unghie non proprio da signora. Il capello rosso mogano fatto in casa, con sprazzi di ricrescita bianca qua e là, incornicia due occhi completamente grigi, da perdersi al primo sguardo.

Lui: violento, anche nelle espressioni del volto; quarantasei anni, non molto scaltro, ma forte fisicamente. Due spalle enormi e mani che paiono vanghe; barba incolta e ispida e con un ciuffo tutto bianco sovrasta l’alta fronte ricoperta già di solchi. Una piccola cicatrice sotto il labbro inferiore ne caratterizza il mento; e due occhi enormi tutti marroni.

L’ennesima lite su come ero vestita e i capelli troppo colorati, sembrava una lite normale, come tante. Sali in macchina, abbiamo un lavoro da fare – ero abituata a quel suo modo di parlare, sbrigativo, talvolta rude -; salgo, senza fare domande. Dal lungomare iniziamo a percorrere tutto il quartiere fieristico e io mi dedico a ripassarmi il rossetto, curandomi poco della strada. Gira a sinistra e poi a destra: ho la vaga percezione che le strade diventino più strette. Dopo poco inizia a rallentare, parcheggia in modo ordinato, tira anche il freno a mano: scendi. Pochi passi a piedi e siamo davanti a quel portone grande, di lamiere: una aveva ceduto da un lato. Mi prende una mano e mi costringe a seguirlo attraverso quel passaggio soffocante. Entriamo in un grande androne. Continuo a camminare e mi ritrovo in un piazzale pieno di immondizia, con l’asfalto ricoperto da vegetazione; e noto dei capannoni enormi, ormai ricoperti da ruggine. Il brusco passaggio dal buio alla luce non mi permette di distinguere bene cosa ho di fronte, i miei occhi si sforzano di mettere a fuoco, però.  Ed ecco che ritorna quella sua mano enorme ad afferrare il braccio. Mi strattona verso un’entrata all’interno dell’androne, al quarto scalino inciampo; percorro il lungo corridoio con la caviglia dolorante. Potrebbero essere uffici. Lui si ferma, gira la testa verso di me e ricomincia il litigio. Una lite normale, come tante ma all’improvviso sento un suono sottile e tagliente, una specie di sibilo. Non capisco subito: guardo verso di lui ed è lì che una sensazione di pressione e calore invade la mia pancia. Mi sento come se qualcuno tirasse la pelle dell’addome verso l’interno del mio corpo. Qualcosa di rigido e grande, come una palla da baseball, penetra sotto la gabbia torica con una forza brutale e, non so come, mi ritrovo con i piedi sollevati di mezzo metro da terra. Poi ricado sul pavimento, rovinosamente.

Quando esplori un luogo abbandonato, soprattutto se ne conosci la storia, è naturale immaginarne il vissuto. In una acciaieria dovresti percepire il rumore stridente del metallo contro i macchinari, avvertire il calore dei forni a 1.600 gradi che trasformano il carbone in una lega dura e duratura, toccare le microscopiche gocce d’olio industriale che rivestono con una patina sottile tutto l’ambiente. In un’acciaieria dovrebbe venirti incontro l’odore acre del sudore di decine di operai che si muovono in ogni direzione per eseguire le proprie mansioni. Invece, questa volta non è accaduto nulla del genere. Parliamo delle Acciaierie Scianatico, che, oltre a dare lustro alla nostra città, sembrano conservare tracce di un efferato omicidio. Si legge, infatti, nella cronaca locale del maggio 2017, di un cadavere inscheletrito di una donna rinvenuto negli uffici della fabbrica. Anche per questo non possiamo non chiederci se questi luoghi, anche quando vengono lasciati in disuso, siano veramente abbandonati.
La risposta è no, nel loro essere ormai vuoti e votati all’oblio, la storia che li percorre non va in pausa. Il tempo e chi si avvicenda in questi posti continuano a scorrere. Qui spesso si raccontano storie invisibili, che si sono svolte in luoghi diventati invisibili alla memoria. Per fortuna la giustizia ha fatto il suo corso: nel dicembre 2019, la polizia ha arrestato il presunto assassino (3 marzo 2022 la richiesta per trent’anni di reclusione da parte della Procura di Bari).

Le acciaierie Scianatico nascono a Giovinazzo nel 1923 con il nome ”Acciaierie e ferrerie Pugliesi” da tre soci: Domenico Maldarelli, un ingegnere Tedesco e da Giovanni Scianatico; e fu proprio quest’ultimo nel 1937, ad aprire la succursale barese “Società Gestioni Industrie Metallurgiche”. Subito dopo la partenza a pieno regime, nel 1943, le acciaierie furono occupate dagli Inglesi, che utilizzarono gli impianti per fini bellici e rifornimento di armi per le truppe. Durante questa occupazione, gli Inglesi non apportarono ammodernamenti, anzi aumentarono la forza lavoro ben oltre le reali esigenze della produzione. Andati via gli Alleati, nel 1959, ci fu la creazione delle “Acciaierie e tubifici Meridionale” dove ebbe inizio la specializzazione nella produzione di tubi in acciaio senza saldatura. Per il ventennio successivo ci fu una crescita importante dello stabilimento, furono aggiunti dei nuovi forni e implementata la produzione, raggiungendo la quota di quasi 500 dipendenti. Qui i rottami e i ferrivecchi, che raggiungevano lo stabilimento direttamente dal porto su binari, venivano trasformati in 4.000 tonnellate all’anno di acciaio. Tutto nasce dalla fusione dei rottami nei forni: il materiale ancora caldo passa prima dalla laminazione e poi dalla riduzione (i capannoni più lunghi che contenevano i laminatoi), misurato e testato e, infine, stoccato nei magazzini in attesa di partenza. Tutto andava bene fino alla metà degli anni ’80, quando la sovraproduzione dell’acciaio in tutto il mondo costrinse la proprietà ad iniziare un processo di riduzione della produzione, un lento declino fino al 1995, anno della chiusura definitiva dello stabilimento barese.

Oggi, noi di Obiettivo Uno definiamo questo luogo “il paradiso della luce” ed è per noi, esploratori urbani baresi, il più chiaro e interessante esempio di Archeologia Industriale. Il recupero e la riqualificazione di questa vastissima area industriale è doveroso; la sua valenza storica testimonia l’antica attività produttiva della città e la sua ubicazione, quasi strategica, ne permette diversi modi di riutilizzo. Pensiamo, inoltre, che vadano salvati soprattutto la ciminiera (con i suoi circa 40 metri di altezza) e qualche capannone tra i più grandi (la struttura autoportante permette interventi semplici): si potrebbe valutare di creare un parco tematico con dei percorsi nel verde spontaneo che si è fatto spazio anche all’interno di questi ultimi. La bellezza di questo luogo, anche allo stato attuale, è sorprendente, complice la maestosità degli spazi.


“La cultura crea individui, l’industria vuole la massa.”

Gino Paoli

Autori: Valeria – Mimmo – Antonio

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2 risposte

  1. Luca ha detto:

    Questo Opificio abbandonato da 30 anni circa contiene amianto e quindi mi domando è un grave rischio ambientale per chi ci vive vicino?

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