Borgo Carrello

Mimmo

Dove gli ulivi si fecero soldati e la storia si fece leggenda


Nel cuore della provincia di Cosenza, tra le valli silenziose e le colline ammantate di ulivi
secolari, giace Borgo Carrello. Più precisamente è situato sul fondo della valle di Jannia (l’alta
Val di Neto) e si è sviluppato su un pendio alla base del Monte Gimmella, una delle ultime
propaggini della Sila. Il nome del villaggio oggi evoca più un sospiro che un ricordo vivido, dato
che il borgo è ormai da anni preda dell’abbandono, le sue case di pietra che lentamente
soccombono all’abbraccio inesorabile della natura. Eppure, Borgo Carrello non è solo un
ammasso di ruderi; è un luogo intriso di una storia che sfida il tempo, una leggenda così
radicata nell’immaginario collettivo dei paesi limitrofi da essere narrata quasi fosse vangelo.

Chiedete agli anziani di Morano Calabro o di Civita, seduti all’ombra di un portico o mentre
lavorano i campi, e vi racconteranno con occhi lucidi e voce pacata la vicenda del soldato
romano che diede origine a tutto. Si dice che in un’epoca lontana, durante uno scontro impari
in queste terre selvagge, un legionario valoroso si trovò sull’orlo della sconfitta. Circondato
dai nemici, con le forze che lo abbandonavano e la speranza ormai flebile, il soldato si
inginocchiò e innalzò una preghiera disperata al suo Dio. E fu allora, nel momento più buio,
che il miracolo si manifestò: gli ulivi circostanti, con le loro chiome argentate e i tronchi
nodosi, si animarono, trasformandosi in una legione di guerrieri imponenti che respinsero il
nemico, salvando il soldato e permettendogli di fondare un insediamento in quel luogo
benedetto. Borgo Carrello, La costruzione inizia dalla chiesa intitolata a San Teodoro, il nome
del soldato romano. Nei secoli a seguire, il borgo crebbe lentamente, caratterizzato da una
vita contadina dura ma autentica. Le famiglie si dedicavano soprattutto agli uliveti e alla
produzione del superlativo olio (grazie al microclima della valle), ma anche all’agricoltura di
sussistenza, all’allevamento e all’artigianato locale. Le giornate erano scandite dal ritmo della
natura e delle stagioni, i ritmi lenti della vita rurale, delle celebrazioni religiose e delle rare
occasioni di socialità con i paesi vicini. La pietra locale era la padrona indiscussa, plasmando
abitazioni semplici ma robuste, capaci di resistere agli inverni rigidi e alle estati torride. La
chiesa, spesso l’edificio più imponente, era il cuore spirituale e sociale della comunità, punto
di riferimento per ogni evento significativo.
Tuttavia, la stessa conformazione geografica che un tempo offriva protezione, si rivelò nel
tempo la principale condanna di Borgo Carrello: l’isolamento. Raggiungere il borgo era
un’impresa. Le strade, o meglio i sentieri mulattieri, erano impervi e spesso impraticabili,
soprattutto durante i mesi invernali o dopo forti piogge. Questo rendeva i collegamenti con i
centri più grandi estremamente difficili. I beni di prima necessità arrivavano con difficoltà, il
che incentivava una profonda autosufficienza ma limitava drasticamente le opportunità di
crescita e sviluppo. L’accesso a servizi essenziali come scuole, ospedali o mercati più ampi era
un lusso, costringendo spesso i giovani a lunghi e faticosi spostamenti, o a rinunciare a
un’istruzione completa. La comunità era coesa, basata su legami familiari stretti e un mutuo
soccorso che rendeva sopportabile la durezza della vita. Le storie, le tradizioni e i saperi
venivano tramandati oralmente, rafforzando un senso di identità unico e resistente.

A partire dal secondo dopoguerra, e con un’accelerazione negli anni ’50 e ’60, l’Italia conobbe
un profondo processo di modernizzazione. Le promesse di una vita più agiata, di maggiori
opportunità lavorative e di un accesso più facile ai servizi, spinsero le nuove generazioni a
guardare oltre i confini del borgo. L’industrializzazione del nord Italia, l’emigrazione verso
l’Europa o le grandi città italiane, divennero opzioni sempre più allettanti rispetto alla fatica e
all’isolamento della vita rurale. Il processo di spopolamento fu graduale ma inesorabile. Prima
i giovani, poi intere famiglie, lasciarono Borgo Carrello, portando con sé non solo i loro beni,
ma anche il cuore pulsante della comunità. Le case, prive di manutenzione, cominciarono a
crollare, inghiottite dalla vegetazione che reclamava i suoi spazi. I campi, un tempo coltivati
con cura, tornarono ad essere pascoli selvatici o boscaglia.
Oggi, Borgo Carrello è un paese fantasma, un labirinto di rovine dove il vento fischia tra i coppi
rotti e il silenzio è interrotto solo dal fruscio delle foglie o dal richiamo di qualche animale
selvatico. Eppure, la sua memoria resiste, custodita non solo nelle pietre, ma soprattutto nei
racconti degli anziani dei paesi vicini. Borgo Carrello, nella sua quiete spettrale, rimane un
monito silente sulla fragilità della vita rurale e sulla forza inesorabile del tempo.


Autori: Valeria – Mimmo

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