La villa dell’ispettore

Valeria

Il cugino pugliese di “Callagan”.


Giorgio P. era un tipo tosto. In Centrale lo chiamavano Callagan per via del fisico asciutto e del capello rasato alla maniera del famoso ispettore interpretato da Clint Eastwood. Lui quel nome se l’era appiccicato addosso perché Callagan gli piaceva davvero e di Callagan aveva finito col prendere lo stile. Se doveva picchiare, picchiava. Se poteva farsi dei nemici, lo faceva. Quando arrivò in città rifiutò l’appartamento in città che l’Amministrazione era pronta ad offrigli preferendo andare in campagna dove aveva trovato un vecchio palazzo appartenuto ad un nobile del posto. Disse che la scelta era pilotata dalla moglie, donna bellissima ma schiva che, in verità, nessuno aveva ancora visto. La casa, infatti, era bellissima. Chi vi era entrato parlava di affreschi meravigliosi, decine di stanze, balconi e terrazzi, cantine e persino una grande rimessa per auto. Giorgio P. diceva che quella era la casa perfetta per la moglie, donna raffinata e amante del bello, ma troppo riservata e poco incline alla mondanità. Poetessa, pianista e pittrice per puro diletto, non disdegnava lavorare tessuti e creare da sé i propri vestiti. “Callagan” le aveva fatto restaurare l’antica cucina di pietra e maioliche e le aveva comprato l’ultimo modello di lucidatrice perché potesse tenere lucidi i pavimenti tanto da potervisi specchiare. Col passare dei mesi tanto diventavano famose le gesta di lui, novello e salvifico Callagan che aveva dato battaglia alla criminalità, quanto aumentava a dismisura la curiosità per la sua vita privata. Nessuno aveva mai visto insieme marito e moglie.

All’alba di ogni mattina lui sedeva sulla sua fiammante e potente Fiat per raggiungere la città dando mostra della sua perizia di pilota solo per dar mostra della sua forza già alle prime luci del mattino. Quando lui era al lavoro apparentemente lei non era in casa. Tutte le finestre della casa restavano chiuse, l’intero palazzo sembrava addormentato in un incantesimo, silenzioso e immoto proprio nelle ore in cui la vita di una casa avrebbe dovuto essere più attiva. Serpeggiava tra la gente del paese la sensazione che la storia della moglie fosse stata tutta una montatura e che l’ispettore fosse tutt’altro che sposato. Ed invece alla sera il palazzo si animava. Porte e finestre prendevano vita. Si udiva musica frammezzata ai suoni di una vita domestica tradizionale. E così ogni giorno fino a quando l’ostinazione del curioso non prese il sopravvento. Quel qualcuno si appostò giusto di fronte, in vista delle camere del piano nobile, e pazientemente attese che s’aprisse un varco tra le persiane. Complice un potente binocolo ed un vento propizio, lo spione ottenne quel che voleva. Il giorno dopo non fu parco di dettagli. Al bar della piazza c’erano tutti, dal sindaco allo scopino, e soprattutto le beghine ansiose di dar sfogo al rosario delle congetture. Dal racconto si capì quanto bella dovesse essere la padrona di quella grande casa. La signora “Callagan”, bionda, alta almeno quanto il marito, elegante e raffinata si aggirava per le stanze fasciata negli abiti che lei stessa confezionava. Finemente truccata dava sfogo ad una sensualità tutta femminile senza scadere nel volgare. Lo spione descrisse minuzioso le movenze, le forme, persino la danza che intraprese ad un tratto imbracando la lucidatrice Radiomarelli, di per sé stessa un’invida per ogni donna del paese. “E il marito?” fu il coro unanime degli astanti. Di Callagan non v’era traccia! Per quanto avesse scrutato lo spione non ne fece menzione. Forse stanco e già coricato, era come se si fosse dileguato e la moglie avesse preso la scena tutta per sé. Che sfaccendasse per la casa o sedesse in salotto a sfogliare le riviste di “vita femminile”, la donna appariva serena e compiaciuta e nulla traspariva in lei di una sofferta mancanza del marito. Dov’era Giorgio P.?

La mattina dopo lo stridore delle gomme sul selciato annunciava un’altra giornata di lavoro per l’ispettore. Altre beghe da sistemare, spacciatori e scippatori da raddrizzare e qualche corrotto da far ragionare. Il polso inflessibile della legge. Lo sguardo fiero del poliziotto rude e giustiziere che sapeva, però, che a casa la sera l’attendeva una donna ch’era un mondo diametralmente opposto a quello del mattino. C’era qualcosa che non quadrava tuttavia. Come nella favola di Lady Hawk pareva che l’esistenza dei due coniugi non si completasse in una fisica unione. Era come se al calare della sera l’uno lasciasse il posto all’altra in un gioco di rimandi e di attese. Dov’era il greve poliziotto tutto muscoli e giustizia non v’era la grazia della donna regina della casa. Quando il poliziotto perì sotto i colpi della vendetta dei tanti che s’era inimicato la casa rimase chiusa per settimane e si dovettero sfondare le porte per scoprire che la donna s’era involata col marito nel più totale dei misteri.


Bastò uno sguardo di sfuggita alla vecchia dimora per darmi un senso di insopportabile depressione; insopportabile perché questa mia sensazione non era addolcita dal fascino, quasi perverso, che hanno, poiché poetiche, anche le più crude immagini di desolazione.

E. A. Poe

Autori: Valeria – Antonio – Marco – Mimmo

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